Premessa
È importante ricordare come l’Italia ha iniziato il suo percorso nell’uso e nella realizzazione dei primi elaboratori elettronici. In merito non mancano libri e documenti, ma ritengo questa storia poco conosciuta e, anche per motivi di orgoglio nazionale, è utile rinfrescare l’argomento.
Non sono uno storico, ma un curioso che ha cercato di documentarsi e capire come l’informatica italiana ha mosso primi passi e perché diverse iniziative non hanno avuto il dovuto sostegno.
Informatica è un termine coniato verso la metà degli anni ‘60 del secolo scorso, ma con radici lontane legate alla necessità di eseguire calcoli in modo semplice, veloce e possibilmente automatico. Una storia vecchia di secoli se non millenni che si può affiancare alla capacità di contare.
I primi passi significativi nella automazione del calcolo si hanno con l’evoluzione della meccanica. Ben noti sono i progetti che Babbage non riuscì a completare per problemi meccanici e finanziari (siamo verso il primo quarto del diciannovesimo secolo). Questi progetti includevano il concetto di programmazione che derivano dalla invenzione del Telaio Jacquard.
La macchina differenziale di Babbage
Le prestazioni migliorano con i primi elaboratori elettromeccanici. Il capostipite è lo Z1, del tedesco Konrand Zuse, iniziato a costruire nel 1936 e mai terminato completamente. Interessante è notare come lo Z1 (ne esistono repliche) abbia una struttura del tutto simile agli attuali computer con operazioni binarie
Un successivo modello elettromeccanico fu il Mark I, noto anche come Automatic Sequence Controlled Calculator (ASCC) costruito da IBM anche questo, come la serie Z, ha schede o nastri perforati come elementi di ingresso: l’uso di schede perforate era già consolidato nelle macchine tabulatrici di IBM e di altre società.
Il passo successivo vede l’uso delle valvole termoioniche, che incrementano notevolmente la velocità di elaborazione. L’ENIAC (1945), Electronic Numerical Integrator and Computer
I progetti dei vari elaboratori, specie in America, erano di origine universitaria, ma quasi sempre sponsorizzati dai militari, che di fatto resero possibile il forte impegno economico per lo sviluppo del settore. I calcoli di tavole balistiche erano le necessità più frequenti, ma il primo forte impegno militare del computer è nella progettazione della prima bomba atomica. Il transistore, il primo prototipo è del 1947, fa la comparsa nei primi anni ’50 e velocemente sostituisce le valvole.
In Italia le prime notizie di elaboratori elettronici digitali giunsero verso la fine degli anni ’40 e inizio ’50, poco dopo la fine della II guerra mondiale. L’interesse militare nell’uso degli elaboratori limitò fortemente lo scambio di informazioni specie durante il periodo bellico (e anche dopo, direi). I centri di ricerca e le università sono i primi interessati all’argomento. Nell’industria c’è l’interesse di Olivetti, che già produceva macchine da calcolo meccaniche.
L’acquisizione di un computer consisteva nell’acquisto o nella sua costruzione, entrambe operazioni difficili specie per motivi economici, l’Italia alla fine della guerra non aveva risorse e quelle poche avevano altre destinazioni. La tecnologia era nuova, ma in Italia c’era una buona conoscenza della matematica, della logica e dell’elettronica impulsiva affine alla elettronica digitale.
L’interesse per i calcolatori elettronici era spinto dalla necessità di eseguire calcoli in applicazioni tecnico scientifiche e solo in seguito estese in ambiti amministrativi gestionali. I primi poli di studio erano a Milano, Roma, Pisa.
A Milano l’interesse per l’automazione del calcolo numerico vede protagonista Gino Cassinis rettore del Politecnico. Già nel 1951 fece richiesta per l’acquisto di un calcolatore elettronico che venne accettata nel 1953 anche grazie ai finanziamenti dell’European Recovery Program, il piano Marshall. La scelta ricade sul CRC 102A della americana Computer Research Corporation, poi acquisita da NCR
L’CRC 102A usava circa 600 valvole e oltre 6000 diodi. Le valvole erano relativamente poche perché, per quanto possibile la logica era realizzata con diodi. Ad occuparsi dell’elaboratore fu principalmente Luigi Dadda, in futuro rettore del Politecnico. Al tempo dell’acquisto era studente che stava facendo un corso di specializzazione negli Stati Uniti e li rimase per affiancare il costruttore nella realizzazione della macchina, questo perché la ditta non forniva supporto tecnico in Italia e spettava all’acquirente adoperarsi per farla funzionare e ripararla. L’elaboratore fu portato intero in Italia su una nave che traportava balle di cotone usate anche per proteggere il computer da urti e vibrazioni. La sorpresa, ricorda Dadda
A Roma c’è l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo (INAC) che fa parte del CNR dal 1932 (in precedenza IAC fondato, a Napoli nel 1927, da Mauro Picone) ben noto in campo internazionale per la ricerca su modelli matematici e soluzioni numeriche. Inizialmente fu presa in considerazione la costruzione di un elaboratore, ma alla fine si optò per l’acquisto che si concretizzò con la macchina costruita dalla inglese Ferranti, il Mark 1
È importante notare come inizialmente, nella ipotesi di costruzione, già nel 1949, era coinvolta l’Olivetti
L’università di Pisa, nel 1954, intraprese il progetto di costruzione di un calcolatore elettronico. La facoltà di Fisica disponeva al tempo di fondi, raccolti per costruire una macchina per l’accelerazione di particelle. Questo progetto, per interesse nazionale passò al CNR e la sua realizzazione spostata a Roma. Restava la disponibilità finanziaria. Marcello Conversi, al tempo direttore dell’istituto di fisica raccolse il suggerimento di Fermi. Enrico Fermi nel 1954 partecipò ad un incontro organizzato a Varenna, sul lago di Como. Era già ammalato di cancro e morì pochi mesi dopo. Con l’occasione ebbe contatti con l’università di Pisa, dove aveva compiuto gli studi, e gli fu chiesto un parere su come utilizzare i fondi. Fermi propose la costruzione di un computer evidenziando l’opportunità di formare tecnici e competenze
Il suggerimento fu ascoltato dando vita al Centro Studi Calcolatrici Elettroniche (CSCE) per la progettazione e realizzazione della CEP, Calcolatrice Elettronica Pisana. Fu inizialmente realizzato un prototipo per indagare le caratteristiche logiche della macchina e le sue componenti circuitali, che fu nominato macchina ridotta
La Olivetti era da tempo interessata alle calcolatrici elettroniche. Nel 1949 Fermi visita la fabbrica di Ivrea
Olivetti si unì al progetto CEP nel 1955 aprendo un laboratorio a Barbaricina, Pisa. Il laboratorio, successivamente trasferito a Borgolombardo nei pressi di Milano, era diretto da Mario Tchou (1924)
Con la direzione di Tchou viene progettato l’ELEA 9003 (ELaboratore Elettronico Aritmetico), preceduto da 2 prototipi i modelli 9001 e 9002 entrambi a valvole. Tchou si rende conto dei limiti delle valvole termoioniche e decide di realizzare il 9003 interamente a transistori, ma l’accaparramento di adeguati componenti è difficoltoso. Per avere una fonte sicura per i transistori l’Olivetti decide di produrre i componenti a semiconduttore fondando con Telettra e la collaborazione di Fairchild, la SGS, Società Generale Semiconduttori. Oggi, dopo varie partnership, la STMicroelectronics è una delle più importanti aziende di semiconduttori a livello mondiale. Federico Faggin, il principale progettista dell’Intel 4004, il primo microprocessore, fu dipendente di Olivetti, prima, e di SGS poi, dove iniziò ad usare le tecniche MOS (Metal Oxide Semiconductor) impiegate poi nel Intel 4004.
L’ELEA venne inizialmente usato e testato in Olivetti. Il 9003, uno dei primi computer completamente transistorizzato ad uso commerciale, fu completato nel 1958 e presentato ufficialmente al capo dello stato, Giovanni Gronchi, nel 1959, messo in commercio ne furono prodotti circa 40 esemplari, il primo andò alla Marzotto
La morte di Adriano Olivetti nel febbraio del 1960 fu un duro colpo per il settore elettronico, ma l’attività continuò tanto che era in progetto l’Elea 9004 che, fra l’altro, avrebbe dovuto sostituire FINAC. A questo evento si aggiunse la morte di Mario Tchou in un incidente stradale, nel 1961. La morte di Olivetti e di Tchou segnano, se non la fine, almeno un brusco e lungo arresto della avventura informatica olivettiana.
Nel 1959 la Olivetti acquista la americana Underwood con l’intento di meglio penetrare il mercato amaricano: un grosso impegno finanziario. Venuto a mancare Adriano mancò anche la sua visione strategica. La famiglia Olivetti si distaccò dall’azienda che non fu capace di trovare i finanziamenti richiesti. L’Olivetti si trovava in crisi finanziaria e per reperire fondi si formò un gruppo di intervento che comprendeva Fiat e Mediobanca. L’analisi che seguì concluse che il settore elettronico andava chiuso, Vittorio Valletta
In seguito, è nato il sospetto, non dimostrato ma plausibile, che la vendita del settore elettronico di Olivetti fosse una sorta di favore agli americani per eliminare la concorrenza alla IBM
Nella cessione a GE ci fu una svista. Un piccolo gruppo di ingegneri capeggiati dall’ingegner Giorgio Perotto si trovò isolato senza nessuna particolare direttiva e decise autonomamente di sviluppare una macchina per il calcolo automatico di piccole dimensioni. Prese forma la Programma 101 (P101)
Interessante è il confronto delle caratteristiche tecniche delle varie macchine
|
CEP ELEA |
9003 |
FINAC |
CRC 102A |
Word size |
36 bits |
variable |
20 bits |
42 bits |
Main memory technology |
Magnetic cores |
Magnetic cores |
Williams tubes |
Magnetic drum |
Main memory capacity (words) |
4,096 |
20,000 |
832 |
1,024 |
Secondary memory devices |
Magnetic drum and magnetic tape |
Magnetic drum and magnetic tape |
Magnetic drum |
Magnetic tape |
Secondary memory capacity |
Drum: 32K words; tape: 1,536K words |
Drum: 360,000 words; tape:13,000K words |
32K words |
117K words |
Additions per second |
~6,700 |
~5,000 |
~1,041 |
~100 |
Kind of components |
Vacuum tubes, germanium diodes and transistors |
Germanium diodes and transistors |
Vacuum and cathode tubes |
Vacuum tubes and germanium diodes |
Instruction set |
128 |
91 |
30 |
25 |
I/O devices |
Tape punch and reader, teletype writer and printer |
Tape punch and reader, card punch and reader, printer and teletype writer |
Tape punch and reader, teletype writer and printer |
Tape punch and reader, and teletype writer |
Electric power used |
25 kW |
4.5 kW |
35 kW |
20 kW |
Exemplars made |
1 |
40 |
9 |
20 |
L’ELEA 9003 era certamente il più performante, da notare il ridotto consumo, se paragonato con gli altri elaboratori, dovuto all’uso dei transistori.
In seguito, altre aziende italiane produssero elaboratori elettronici. Solo per citare due esempi, la Laben, specializzata in elettronica e strumentazione nucleare, che produsse il LABEN 70, un minicomputer per applicazioni scientifiche ed industriali, che fu presentato nel 1970, una macchina a 16 bit
Verso l’inizio degli anni ’50 in ambito UNESCO
L’episodio, comunque sottolinea come l’Italia fosse in grado di entrare con competenza in ruoli centrali già nei primi anni della elaborazione elettronica. Erano buone, se non ottime, le capacità matematiche di metodi numerici, nonostante la fuga di geni come Fermi, esisteva una buona scuola di Fisica e anche l’ambito elettronico aveva i suoi punti di forza.
Erano evidenti le difficoltà economiche, in parte superate con il progetto Marshall. L’Olivetti fu l’unica ad autofinanziarsi senza ricevere aiuti, nemmeno indiretti, tanto che numerosi ministeri acquistarono IBM a discapito di Olivetti con dubbie operazioni di appalto [28].
Si può dire che la tecnologia italiana, in ambito di calcolatori elettronici era in ritardo di 5 anni o poco più rispetto quella americana. Le esperienze dei primi anni consentirono la realizzazione di numerosi incontri e seminari sull’argomento e posero le basi per corsi di studio e di perfezionamento. L’esperienza, inoltre, non era semplicemente accademica, ma aveva solide basi nell’industria. Il Politecnico e INAC fornirono fin dai primi momenti servizi ad aziende esterne, come la Pirelli per difficili calcoli per determinare i campi elettrici in applicazioni per l’alta tensione o per i calcoli per la struttura della diga del Vajont. Queste attività erano fonte di entrate economiche oltre che di interazione con problemi reali e non soltanto accademici. L’informatica fece, come fa tutt’ora, come centro di aggregazione fra differenti discipline ingegneristiche, di fisica, di matematica e di logica. Molto presto si iniziarono ad affrontare problematiche di linguaggi, sistemi operativi, tutela del software e tanto altro. Era tutto da inventare. I primi computer erano "nudi", privi di qualunque software, linguaggio o sistema operativo.
A partire dagli anni 60 diverse università si dotarono di computer e si formarono consorzi interuniversitari e centri di elaborazione, come il CINECA a Bologna, il CILEA (Milano), il CSATA (Bari) ed altri ancora. A questi consorzi va riconosciuto il merito di aver messo a disposizione le tecnologie per lo sviluppo informatico in Italia.
Negli anni a seguire furono formate diverse commissioni per fornire indicazioni circa lo sviluppo informatico in Italia. La commissione del 1973 (Commissione Istruttoria Raggruppamento Informatico) sottolineava notevoli azioni da parte di diversi governi europei a sostegno dell’informatica e la totale assenza, in merito, del Governo italiano. Nel 1971 fu anche presentato uno schema di disegno di egge, che restò disatteso
L’Italia iniziò velocemente e con profitto l’uso di elaboratori già nei primi anni della loro comparsa. C’erano competenze consolidate e ampliate con notevole impegno e velocità assieme alla capacità di produrre ed essere competitivi. Venne a mancare il supporto, la protezione politica ed economica dello Stato, vanificando buona parte degli sforzi di enti, università, aziende e persone che avevano investito risorse nel settore elettronico e informatico.
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1 Il piano Marshall fu determinante per la ricostruzione europea post-bellica. Gli aiuti, comunque, erano subordinati alla approvazione americana. In ambito computer, alla Francia fu negato il finanziamento per un progetto che coinvolgeva l’Unione Sovietica.
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